A quasi diciotto anni dal delitto che sconvolse l’Italia, la Procura di Pavia ha riaperto le indagini sull’omicidio di Chiara Poggi, uccisa nella sua abitazione di via Pascoli il 13 agosto 2007. Nonostante la condanna definitiva di Alberto Stasi, allora fidanzato della vittima, un nuovo fascicolo è stato aperto nei confronti di Andrea Sempio, amico del fratello di Chiara, ora indagato per omicidio in concorso con ignoti o con lo stesso Stasi.
Il prossimo venerdì 16 maggio, è prevista l’udienza per l’avvio dell’incidente probatorio, dopo un primo tentativo fallito. Saranno nuovamente analizzati i reperti ancora disponibili della scena del crimine, in un’indagine che continua a suscitare ipotesi, interrogativi e divisioni anche a livello mediatico e giudiziario.
Nel frattempo, le dichiarazioni dell’avvocato di Sempio, Massimo Lovati, hanno riportato l’attenzione sull’ipotesi, da sempre ritenuta infondata dalla magistratura, della presenza di un possibile sicario. Secondo il legale, Alberto Stasi non sarebbe mai entrato nella villetta dove avvenne il delitto, e avrebbe ricevuto indicazioni esterne su come comportarsi subito dopo la scoperta del corpo. Tuttavia, queste tesi non hanno mai trovato spazio nelle sentenze dei vari gradi di giudizio.
Secondo le motivazioni della sentenza definitiva, i giudici dell’Appello bis avevano escluso con fermezza l’ipotesi di un estraneo. Chiara Poggi, colpita con violenza e senza possibilità di difesa, si sarebbe fidata della persona che l’ha aggredita. La dinamica dell’omicidio – secondo i magistrati – è incompatibile con quella di un’aggressione improvvisa da parte di uno sconosciuto: la giovane, in pigiama, appena sveglia, non avrebbe mostrato alcuna reazione difensiva, segno, per i giudici, di una piena fiducia nei confronti del visitatore.
Proprio questo comportamento, così privo di difese, ha portato gli inquirenti a escludere non solo l’azione di un estraneo, ma anche quella di un conoscente occasionale. L’assenza di graffi, urla o segni di colluttazione suggerisce un attacco fulmineo da parte di qualcuno con cui la vittima aveva un legame stretto, tale da abbassare totalmente le difese.
Altro nodo irrisolto resta il movente, che a distanza di anni continua a sfuggire a una definizione precisa. Per i giudici, tuttavia, la brutalità dell’omicidio e la dinamica della scena del crimine indicano un rapporto personale e pregresso tra la vittima e l’aggressore. A rafforzare questa convinzione, anche la modalità con cui il corpo è stato abbandonato e l’assenza di segnali riconducibili a una rapina o a un’irruzione esterna.
Durante il processo, era stata avanzata anche l’ipotesi della presenza di un ladro, sostenuta dalla presunta apertura anomala di alcuni cassetti nella saletta della televisione. Ma secondo i giudici, si trattava di un effetto ottico o di una caratteristica del mobile stesso, che risultava vecchio e difettoso. La possibilità che un ladro, dopo aver commesso un omicidio, avesse la premura di richiudere con ordine i cassetti fu giudicata poco credibile.
Nella ricostruzione finale, i magistrati hanno identificato in Stasi l’unico soggetto con il profilo compatibile: conosceva bene la casa e le abitudini della vittima, era il suo fidanzato, e in quei giorni entrambi si trovavano da soli a Garlasco. L’assenza di tracce genetiche o dell’arma del delitto – che non è mai stata ritrovata – non è bastata a escludere la sua responsabilità oltre ogni ragionevole dubbio.
Ora, con il ritorno delle indagini e l’attenzione puntata su Andrea Sempio, resta da capire se emergeranno nuovi elementi concreti o se questa riapertura rappresenterà solo un’ulteriore conferma di quanto già stabilito nei tre gradi di giudizio.