“Nel carcere di Secondigliano si sono vissute ore di alta tensione, tra rinvenimenti di telefoni cellulari ed agenti aggrediti nel Reparto Accettazione da un detenuto che non voleva essere trasferito in un altro carcere. Ai colleghi contusi va la solidarietà del SAPPE, primo e più rappresentativo Sindacato della Polizia Penitenziaria, ma rinnoviamo l’appello a intervenire sulle criticità del carcere”. È quanto dichiarano Lello Munno e Donato Vaia, rispettivamente vice segretario regionale e delegato del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, che tornano a denunciare l’incandescente situazione detentiva della regione.
I sindacalisti evidenzia che “il SAPPE, nel raccogliere le voci del personale operante nelle Sezioni detentive di Secondigliano e delle altre carceri regionali, ormai stanco ed esausto di subire vessazioni di ogni tipo sia verbali che fisiche da parte di una popolazione detenuta sempre meno incline al rispetto delle normali regole civili e di convivenza, conferma che i colleghi sono davvero avviliti perché si sentono sempre più abbandonati al loro destino, senza che l’Amministrazione muova un dito per far sì che i turni di lavoro siano quanto meno sicuri in modo da ridurre il rischio per la loro stessa l’incolumità fisica, ad oggi altamente compromessa”.
Per Donato Capece, segretario generale del SAPPE, “la situazione penitenziaria regionale e nazionale fa, ogni giorno di più, emergere la tensione che c’è non più latente ma palese ed evidente. Bisogna intervenire con celerità, a tutela dei poliziotti penitenziari, orgoglio non solo del SAPPE e di tutto il Corpo ma dell’intera Nazione”.
“E’ sotto gli occhi di tutti che la situazione penitenziaria è sempre più critica” – conclude il leader del SAPPE, che torna a ribadire: “Sono decenni che chiediamo l’espulsione dei detenuti stranieri, un terzo degli attuali presenti in Italia, per fare scontare loro, nelle loro carceri, le pene come anche prevedere la riapertura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari dove mettere i detenuti con problemi psichiatrici, sempre più numerosi, oggi presenti nel circuito detentivo ordinario. Ma servono anche più tecnologia e più investimenti: la situazione resta allarmante, anche se gli uomini e le donne della Polizia Penitenziaria garantiscono ordine e sicurezza pur a fronte di condizioni di lavoro particolarmente stressanti e gravose”. “Basta! Siamo noi a non poterne più da questa situazione di diffusa illegalità: siamo a noi a doverci chiedere dove è lo Stato!”, conclude Capece.