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Home » Napoli: riaperto il caso del decesso di Domenico Gargiulo dopo sei anni

Napoli: riaperto il caso del decesso di Domenico Gargiulo dopo sei anni

di Redazione
Aprile 23, 2025
in Cronaca
Tempo di lettura: 3 minuti
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Napoli: riaperto il caso del decesso di Domenico Gargiulo dopo sei anni
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NAPOLI – «Faccio un giro e vengo». Sarebbero state queste le ultime parole pronunciate da Domenico Gargiulo, conosciuto nei circuiti criminali come “Sicc ‘e penniell”, prima di uscire di casa la sera del 6 settembre 2019. Ma quel “giro” è stato un viaggio senza ritorno. Tre giorni dopo, il suo cadavere è stato ritrovato nel cofano di una Ford C-Max abbandonata in viale Zuccarini, a Secondigliano: un solo colpo alla testa, dinamica da esecuzione.

Oggi, a quasi sei anni dall’omicidio, la Squadra Mobile ha eseguito otto ordinanze cautelari che riaprono ufficialmente il caso, collegando l’uccisione di Gargiulo a faide tra clan camorristici. Secondo gli inquirenti, a firmare la condanna a morte sarebbero stati gli Abbinante, con l’esecuzione affidata a elementi legati ai Licciardi e al clan Sautto-Ciccarelli, di cui la vittima faceva parte.

È il tardo pomeriggio del 6 settembre quando Gargiulo lascia la sua abitazione nelle Case Celesti. Sale a bordo della sua Lancia Y e dice ai familiari che deve sbrigare una commissione nel vicino rione Don Guanella. Da quel momento, nessuno lo vede più. La denuncia di scomparsa viene sporta il giorno successivo.

Le ricerche si concludono l’8 settembre, quando una volante del commissariato di Scampia trova un’auto rubata con evidenti segni di scasso. All’interno del bagagliaio, il corpo di Gargiulo. L’autopsia confermerà: un solo colpo alla testa, sparato da dietro, da meno di mezzo metro di distanza. Escoriazioni al ginocchio suggeriscono che il giovane sia stato costretto a inginocchiarsi prima di essere giustiziato. Poco sangue nell’auto: il delitto è avvenuto altrove.

Determinanti per l’indagine sono le immagini delle telecamere. La Lancia Y e la C-Max risultano entrambe nel rione Don Guanella quella sera. Alle 17.51, Gargiulo viene ripreso vivo per l’ultima volta. Mezz’ora dopo, la sua auto viene spostata, ma chi la guida non è visibile. Secondo la polizia, a quel punto è salito su un altro veicolo.

Gli investigatori identificano tra gli scooteristi ripresi Vincenzo Caiazzo e Vincenzo Pernice. Il collaboratore di giustizia Vincenzo Iuorio fornisce poi un nome chiave: Antonio Bruno, ritenuto referente dei Licciardi nella zona, sarebbe colui che ha organizzato il delitto su richiesta del capoclan Antonio Abbinante.

Il racconto dei pentiti inchioda i mandanti e chi ha premuto il grilletto. Gargiulo, riferisce Iuorio, era diventato un bersaglio dopo aver lasciato gli Abbinante per passare ai Marino, loro storici rivali. Il pretesto? Una “soffiata” alle forze dell’ordine che aveva causato il sequestro di un carico di droga, forse in Calabria o Sicilia.

Due i nomi indicati come esecutori materiali: Antonio Bruno e i suoi affiliati, tra cui Caiazzo e Pernice. A dare il via libera sarebbe stato Gennaro Antonio Sautto, di ritorno da Montecarlo proprio il giorno dopo il delitto, dove si trovava con la moglie per costruirsi un alibi. Ma secondo le dichiarazioni, avrebbe poi ammesso che «era un piacere da fare a zio Tonino Abbinante», seppure “a malincuore”.

Nel giorno del ritrovamento del cadavere, Iuorio racconta di essere stato rassicurato da Bruno: «Non ti succederà nulla». La scena si conclude con un bacio sulla bocca tra i due, immortalato da una telecamera, dettaglio che – nel gergo criminale – sancisce fedeltà e silenzio.

Secondo la Direzione Distrettuale Antimafia, le prove raccolte dimostrano l’esistenza di un patto tra i Licciardi e i Sautto per eseguire la vendetta richiesta dagli Abbinante. Una catena di comando precisa: Bruno e Sautto i mandanti, Caiazzo e Pernice parte attiva nell’organizzazione.

L’omicidio di Domenico Gargiulo si inserisce nel contesto della guerra tra clan che ha insanguinato Secondigliano e dintorni per anni. Lo stesso Gargiulo era già sfuggito a due agguati, uno dei quali costò la vita a Lino Romano, giovane incensurato scambiato per lui.

La camorra, in questi quartieri, non dimentica e non perdona. A distanza di anni, la giustizia prova a ricostruire pezzi di un puzzle criminale che ha lasciato troppe vittime per strada. E quelle parole, «faccio un giro e vengo», restano il preludio a una condanna già scritta.

Tags: Napoli
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