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Home » Usigrai: «Minacciare una giornalista Rai significa minacciare la comunità dei giornalisti del servizio pubblico»

Usigrai: «Minacciare una giornalista Rai significa minacciare la comunità dei giornalisti del servizio pubblico»

Il comunicato dell'Usigrai

di Redazione
Ottobre 4, 2022
in News
Tempo di lettura: 4 minuti
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Usigrai

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Usigrai – Questo articolo, fatto pubblicare il 31 maggio scorso, dopo 5 giorni dall’inizio del processo, che vede imputati 3 ragazzi (uno originario di Napoli, uno di Capua ed uno di Palermo) con l’Accusa di Diffamazione aggravata (dal mezzo social facebook) e minacce (di morte), di cui il sottoscritto è Difensore del ragazzo di Napoli, sul quotidiano FNSI (Federazione Nazionale Stampa Italiana), in queste ore sta facendo il giro del web, a soli due giorni dalla seconda udienza che si terrà a Napoli, dinanzi alla IV Sezione Penale- Dott/Giudice Bardari).

E negli ultimi tempi, in qualche Tribunale italiano, come quello Penale di Genova, si è aperta la concreta possibilità di ammettere la costituzione di parte civile, oltre che della Parte offesa-giornalista, anche dell’Unione Sindacale Italiana Giornalisti RAI (U.S.I.G.RAI), aprendo scenari interessanti, e del tutto nuovi, concernenti un nuovo orientamento giurisprudenziale che sarà destinato, comunque, a creare nuovi precedenti.

L’Usigrai, dal canto proprio, ha espresso la sua soddisfazione per la decisione del tribunale di Napoli- si legge nella nota pubblicata dal quotidiano FNSI- sul caso della giornalista napoletana Claudia Marra. Nell’esecutivo della sigla sindacale Rai vi è scritto: “Minacciare una giornalista della Rai significa minacciare tutta la comunità dei giornalisti e del servizio pubblico radiotelevisivo. Lo stabilisce il Tribunale di Napoli che ha accolto la costituzione di parte civile dell’Usigrai nel procedimento a carico di tre imputati, ritenuti responsabili delle gravi intimidazioni, offese e minacce di morte rivolte alla collega Claudia Marra. Insultata e minacciata di morte sui social a seguito di un servizio giornalistico, la cronista ha denunciato e si è costituita anche personalmente parte civile. Perché denunciare si deve. Denunciare ”conviene”…..”.

Ebbene, io ho sempre avuto un profondo ed enorme rispetto per il ”ruolo del giornalista”, quello serio e deontologicamente corretto, di chi opera nel settore dell’informazione, volto, essenzialmente, a scoprire, analizzare, descrivere e scegliere notizie per poi divulgarle.
Tant’è che, se non avessi avuto questo immenso ed ardente piacere per la Professione Forense, per la Toga, attesa la mia passione per la scrittura, avrei sicuramente coltivato quell’insieme, appunto, delle attività e delle tecniche (redazione, pubblicazione, diffusione, ecc.) volte a reperire, diffondere e commentare notizie tramite ogni mezzo di pubblicazione, sottese a quel nobile e difficile ruolo.
In questi otto anni di Avvocatura ho avuto l’irripetibile privilegio, fortuna ed onore, di aver difeso, e di difendere tutt’ora, giornalisti, sia nello status di imputato che in quello di parte offesa, con risultati ”pieni”, per mia gioia immensa!
Motivo per cui, ammiro il giornalismo con la G maiuscola, che ritengo, al pari della Magistratura, come ho sempre detto, uno dei più grandi poteri esistenti, in grado di influire, in negativo ed in positivo, come non mai nessun’altra ”attività” possa fare.
Ciò ha assunto ancor più rilievo e forza in virtù della sentenza del 12 luglio 2021 n. 150, ”storica”, attraverso la quale la Consulta dichiarò l’illegittimità costituzionale dell’art. 13 della ”famosa” L. 8 febbraio 1948, n. 47 “Disposizioni sulla stampa”, che prevedeva l’indefettibile applicazione della pena detentiva (da due a sei anni di reclusione) in caso di diffamazione a mezzo stampa, in quanto incompatibile con il diritto a manifestare il proprio pensiero, riconosciuto tanto dall’art. 21 Costituzione, quanto dall’art. 10 CEDU (Convenzione Europea dei Dritti dell’Uomo). Sentenza redatta dal professor Francesco Viganò, il quale esaminò le eccezioni sollevate tre anni fa dal Foro di Salerno e di Bari.
Rimase immodificato l’art. 595 c.p. (Diffamazione), che prevede la reclusione da sei mesi a tre anni oppure, in alternativa, il pagamento di una multa, prevista per le ordinarie ipotesi di diffamazione compiute a mezzo della stampa o di un’altra forma di pubblicità, ovvero l’aggravante speciale del terzo comma.
Ciò, ovviamente, in attesa di una riforma complessiva sulla diffamazione da parte del Parlamento, come più volte sollecitato dalla Consulta, che sia in grado di assicurare un più adeguato bilanciamento tra la libertà di manifestazione del pensiero e la tutela della reputazione individuale, anche alla luce dei pericoli sempre maggiori connessi all’evoluzione dei mezzi di comunicazione, come il social Facebook.
Posto in essere questo dovuto preambolo e premesso che non è mia abitudine discorrere nel merito dei processi che seguo, per fortuna di assoluta rilevanza, ci tengo a sottolineare che la prima udienza è stata caratterizzata dalla presenza massiccia di giornalisti, con un’aula gremita, dove fu praticamente impossibile dare corso alla fisiologica ritualità della prima udienza, ove fu difficoltoso addirittura, atteso il gran baccano, venire a conoscenza della chiamata di quel processo da parte di un Giudice, il quale, ebbene sottolinearlo, in quella occasione fu semplicemente un ”sostituto” di quello designato dal Presidente del Tribunale di Napoli, il quale avrebbe dovuto, e potuto, limitarsi solamente ad un mero rinvio, senza espletare alcuna attività processuale preliminare pre-dibattimentale, di verifica della regolare costituzione delle parti e delle eventuali eccezioni/questioni preliminari, considerata anche la ”rilevanza mediatica” del caso. E cosi doveva essere, peccato, però, che dal verbale di udienza, in modo errato e confusionario, e del tutto illeggibile, dapprima veniva ammessa la costituzione di parte civile dell’USIGRAI, oltre che della giornalista Rai, e poi veniva verbalizzato il rinvio per la valutazione delle annesse eventuali decisioni in merito (che spetterebbero, dunque, al Giudice designato), e per le questioni preliminari, che in quella sede non ebbero trattazione (come ad esempio, l’eventuale incompetenza territoriale del Tribunale di Napoli, e di seguito, della esclusione, a questo punto, della parte civile USIGRAI); e ciò senza che le Difese potessero avere diritto di parola, visto che a mala pena ebbero modo di venire a conoscenza della chiamata di quella udienza.

E, ad oggi, scopro questo articolo, datato maggio 2022, che non avevo visto, non conoscevo, che, guarda caso, è stato condiviso da molte pagine napoletane con enorme seguito di follower, proprio a qualche giorno dalla ripresa del processo.
Da adesso in poi si farà sul serio!

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